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Svizzera – Reddito di cittadinanza…o nuova etichetta della precarietà?

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di Nicola Cianferoni, da http://www.mps-ti.ch/

In giugno voteremo sull’iniziativa popolare “Per un reddito di base incondizionato”. Gli elettori svizzeri voteranno sulla proposta di introdurre un un reddito di cittadinanza, per “permettere ad ognuno di lavorare “liberamente”". Per realizzare le premesse dei promotori, l’iniziativa propone di cambiare la costituzione accettando i seguenti articoli:

1 La Confederazione provvede all’istituzione di un reddito di base incondizionato.
2 Il reddito di base deve consentire a tutta la popolazione di condurre un’esistenza dignitosa e di partecipare alla vita pubblica.
3 La legge disciplina in particolare il finanziamento e l’importo del reddito di base.
Non si sa a quanto ammonterebbe questo reddito di cittadnanza. Verrà fissato dal Parlamento se l’iniziativa verrà approvata. I promotori propongono: 2’500 franchi al mese per un adulto (l’equivalente cioè del 41% del salario mediano di 6’118 franchi nel 2012), al quale verrebbero aggiunti 625 franchi per ogni figlio a carico. Per comprendere queste cifre occorre ricordare che la soglia di povertà per una persona sola è stimata a 2’200 franchi (1), e che nel 2014 abbiamo votato sulla proposto di introdurre, un salario minimo mensile di 4000 franchi.
Sul loro sito i promotori del reddito di cittadinanza sostengono che 2’500 franchi mensili permetterebbero di vivere in Svizzera un’esistenza sicura almeno fino al 2050. “Poco importa se con o senza un’attività lucrativa, ricco o povero, sano o ammalato, se solo o in una comunità. Per la maggior parte delle persone, un reddito di base non significa soldi supplementari, ma rimpiazza il reddito esistente. La novità è la mancanza di condizioni (l’incondizionalità)”. Ci si potrebbe attendere una rivoluzione lenta e silenziosa. Resta comunque un mistero, come i meccanismi economici e sociali possano permettere una tale trasformazione sociale.
Nel suo libro “L’allocution universelle. Nouveau label de précarieté” il sociologo belga Mateo Alaluf smonta queste belle promesse. Spiega invece come il reddito di cittadinanza verrà usato come un vera e propria macchina di guerra contro i/le salariati/e. Ci sembra utile segnalarlo, in vista del dibattito che si sta svolgendo in Svizzera su questo tema. (Red)

Da dove viene l’idea del reddito di cittadinanza? La pretesa secondo cui il reddito di cittadinanza abbia origine in seno al movimento operaio non corrisponde alla realtà storica. I dibattiti nel movimento operaio del XIX secolo hanno portato alla “giusta retribuzione” del lavoro (Pierre-Joseph Proudhon, 1809-1865), all’accaparramento della rendita fondiaria (Joseph Charlier, 1816-1896) e all’abolizione del salariato come forma contemporanea di sfruttamento (Karl Marx, 1818-1883). L’idea di reddito di cittadinanza è dunque molto più recente. È comparsa per la prima volta nel 1984, nel manifesto del Collettivo Charles Fournier, composto da Paul-Marie Boulanger, Philippe Defeyt e Philippe Van Parijs. Il reddito di cittadinanza viene presentato sulla base di tre caratteristiche principali: deve essere individuale, senza controparte di lavoro alcuno ed elargito indipendentemente dalla situazione sociale della persona: “Sopprimete le indennità di disoccupazione, le pensioni legali, i minimi necessari di esistenza, gli assegni familiari, le riduzioni di imposta per persone a carico, le borse di studio, i lavori temporanei per disoccupati, i terzi circuiti del lavoro, l’aiuto statale alle aziende in difficoltà. Ma versate ad ogni cittadino una somma sufficiente per coprire i fabbisogni fondamentali di un individuo che vive da solo. Versategliela sia che lavori o non lavori, sia se è ricco che se è povero, che abiti solo, con la sua famiglia, in concubinato o in comunità, che in passato abbia lavorato oppure no. Adeguate la somma versata solamente in funzione dell’età o del (eventuale) grado di invalidità. E finanziate il tutto con un’imposta progressiva sugli altri redditi di ogni individuo.”

Il reddito di cittadinanza viene dunque presentato in opposizione sia alla sicurezza sociale che alla legislazione sul lavoro e sulla scolarità: “Parallelamente, deregolamentate il mercato del lavoro. Abolite ogni legislazione che imponga un salario minimo o una durata massima del lavoro. Eliminate tutti gli ostacoli amministrativi alla possibilità di lavoro a tempo parziale. Abbassate l’età della scuola dell’obbligo. Sopprimete l’obbligo di pensionamento ad una età determinata. Fate tutto questo ed osservate cosa succede. Soprattutto chiedetevi come si trasformerà il lavoro, il suo contenuto e le sue tecniche, e come saranno le relazioni umane.”
Questo concetto radicale è stato progressivamente modificato in uno più moderato in cui il reddito di cittadinanza si presenta come un complemento, e non più un’alternativa allo Stato sociale. Se non altro i suoi fondatori hanno il merito di dimostrare chiaramente come questi due sistemi seguano logiche radicalmente opposte per quanto riguarda l’impiego. Alaluf lo spiega: “se un reddito versato ad ognuno deve facilitare l’accettazione di lavori poco remunerati e di lavori occasionali, temporanei e a tempo parziale, i minimi sociali permettono di rifiutare lavori poco remunerati, e a condizioni di lavoro giudicate inaccettabili” (p.18).
Ma, l’universalizzazione dei diritti sociali si concretizza con la creazione di una sicurezza sociale in ambiti come la sanità, gli infortuni, la disoccupazione, l’invalidità, il pensionamento, la scolarità, ecc. Si tratta così di “demonetizzare” la relazione salariale attraverso, da un lato, la ripartizione nella società dei costi di queste prestazioni, e dall’altro diminuire per i lavoratori la necessità di accantonare una parte del loro salario per poter accedere a queste prestazioni in caso di necessità. “Il salario potrebbe quindi socializzarsi, nel senso che il “salario diretto” del salariato non costituirebbe che una parte della remunerazione del suo lavoro, “il salario indiretto” (contributi sociali), finanziando le prestazioni sociali e i beni collettivi assicura la sua sicurezza sociale ” (p.45)

La presenza dell’idea di reddito di cittadinanza corrisponde a un periodo storico contrassegnato da trasformazioni profonde del capitalismo: tecniche (nascita delle nuove tecnologie e diffusione della conoscenza), sociali (destrutturazione della classe operaia ed abbassamento della conflittualità da parte dei movimenti sociali) ed economiche (sviluppo del settore dei servizi). Tutto ciò farebbe credere alla fine della centralità del lavoro salariato nella società. I rapporti sociali non si baserebbero più sul lavoro degli individui, cioè sull’obbligo di vendere la forza lavoro e ricavarne un salario per una sua riproduzione in quanto classe sociale.

Alaluf richiama questo dibattito confrontando le tesi di André Gorz e Robert Castel sul ruolo della sfera autonoma del lavoro (e cioè al di fuori del lavoro) in un processo di emancipazione sociale. Non derivando più dal lavoro, il valore troverebbe origine al di fuori del sistema produttivo. La conclusione di questo ragionamento consiste nel considerare attuale ogni tipo di riduzione collettiva del tempo di lavoro – rivendicazione storica del movimento operaio con tutte le lotte affini – e che solamente una un’allocazione universale permettà di migliorare le condizioni degli individui in questa società.

La critica rivolta ai promotori del reddito di cittadinanza è quella di considerare il reddito di cittadinanza “solamente per quello che vale, al di fuori dei rapporti sociali che gli darebbero un senso”. (p. 79). Rompe così con l’idea secondo cui il lavoro rimane centrale nella società, come sorgente di valore nella tradizione dell’economia politica classica. “Come valore lavoro, viene considerato sia il lavoro che crea lavoro, sia il valore soggettivo insito nel lavoro, come attività sociale e mezzo per realizzarsi” (p. 55). Di conseguenza, se la concessione di un reddito di cittadinanza sarà possibile solamente derivando dalla ricchezza prodotta dal lavoro stesso, i lavoratori non sarebbero in nessun modo liberati dall’obbligo di vendere la loro forza lavoro per assicurare il mantenimento della loro esistenza. Ogni cosa cambierà con il reddito di cittadinanza. L’obbligo di vendere la forza lavoro avrà sì condizioni nuove, ma sfavorevoli ai lavoratori.

Il reddito di cittadinanza viene presentato oggi come la risposta alla crisi che a partire dagli anni ’70 investe la sicurezza sociale. Le controriforme liberali, iniziate nei paesi europei in quegli anni, continuano ancora oggi; lo dimostrano le misure di austerità imposte dalla destra fin dalla crisi del 2008. Alaluf ritiene che invece di rimediare allo smantellamento della sicurezza sociale, il reddito di cittadinanza non farà che accelerare questo processo. Con le conseguenze che seguono:
- l’abbandono del diritto sociale (sicurezza sociale conseguente alla partecipazione di tutti al lavoro necessario) a favore del diritto civile (protezione di ciò che uno fa nella sua vita sociale, e quindi della proprietà privata), perché l’accesso all’insieme delle prestazioni della sicurezza sociale potrà essere purtroppo mediato dal reddito di cittadinanza
- il sovvenzionamento dei lavori pagati al di sotto del “minimo sociale”, perché agli occhi dei datori di lavoro non sarà più giustificato un salario che permetta di assicurare l’intero mantenimento del lavoratore, poiché oltre al salario disporrà di un reddito di cittadinanza.
- l’isolamento di ogni lavoratore a scapito delle solidarietà collettive e la distruzione dei meccanismi di contrattazione collettiva (tra cui i sindacati, il diritto di sciopero, ecc. che hanno un ruolo importante nella mobilitazione dei lavoratori). Ogni salariato sarà portato a negoziare individualmente le condizioni di un lavoro “complementare” al reddito di cittadinanza.

Non sorprende dunque che il reddito di cittadinanza trovi consenso in certi ambiti ultra-liberali (2). Alaluf dimostra come i meccanismi del reddito di cittadinanza, la cui logica si oppone radicalmente a quella della sicurezza sociale, potranno essere usati come macchina da guerra contro i lavoratori, con lo scopo di aumentare lo smantellamento dello Stato sociale e di deregolare massicciamente il mercato del lavoro. Solamente l’appropriazione del lavoro e il suo controllo attraverso scelte democratiche saranno in grado di garantire ai lavoratori i mezzi per emanciparsi nel rapporto salariale.
Alaluf ritiene che ciò valga anche per l’emancipazione delle donne: di fatto, è con l’accesso al lavoro che hanno potuto guadagnare indipendenza economica e liberarsi – almeno parzialmente – dal patriarcato. Invece di farsi incantare da false promesse – è dunque più che mai necessario – come dice l’autore alla fine della sua opera – focalizzare l’azione sul rapporto sociale che permette a una piccola parte sociale di appropriarsi di una parte crescente di ricchezze prodotte.

1. La pauvreté en Suisse. Résultats des années 2007-2012, Neuchâtel, OFS, luglio 2014.
2. Ad esempio, Murray, C. A. (2006). In Our Hands: a Plan to Replace the Welfare State. Washington, D.C.; Blue Ridge Summit, PA: AEI Press.

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